The Italian
job. È con
il titolo preso in prestito da un film che investigatori e giornalisti in Belgio cominciano
a rifersi alle inchieste per corruzione. È successo nel caso dell’ex ministra Federica Mogherini, ma non solo. Negli ultimi tempi,
in effetti, quando in Unione europea si indaga per tangente a finire sotto
inchiesta sono spesso cittadini italiani. Quasi che le mazzette siano
diventate una prodotto tipico del Belpaese. Una tendenza confermata dal
dossier Italia sotto mazzetta, preparato da Libera in
vista della giornata della lotta alla corruzione del 9 dicembre. L’associazione
fondata da don Luigi Ciotti ha censito le inchieste sulla corruzione dal
primo gennaio al primo dicembre 2025, basandosi sulle notizie di stampa: ne ha
contate ben 96 , praticamente il doppio rispetto al 2024
quando erano appena 48. Negli ultimi 11 mesi, invece, sono state aperte almeno
8 indagini al mese per mazzette, con il coinvolgimento di 49 procure in 15
regioni e 1.028 persone indagate, quasi un raddoppio rispetto ai 588 dello
scorso anno.
Campania
maglia nera
Le regioni
meridionali con le isole primeggiano con 48 indagini, seguite da quelle del Centro
(25) e del Nord (23). La Campania è “maglia nera” con 219
persone indagate, segue la Calabria con 141 e la Puglia con 110. La Liguria con
82 persone indagate è la prima regione del Nord Italia, seguita dal Piemonte
con 80. I reati ipotizzato spaziano dalla corruzione per atto contrario ai
doveri d’ufficio al voto di scambio politico-mafioso, dalla turbativa d’asta
all’estorsione aggravata dal metodo mafioso. Ci sono mazzette in cambio di
un’attestazione falsa di residenza per avere la cittadinanza italiana o
per ottenere falsi certificati di morte. In altri casi le dazioni
hanno facilitato l’aggiudicazione di appalti nella sanità, per la gestione dei
rifiuti o per la realizzazione di opere pubbliche, la concessione di
licenze edilizie, l’affidamento dei servizi di refezione scolastica. Ci
sono scambi di favori per concorsi truccati in ambito universitario. E ancora,
le inchieste per scambio politico elettorale e quelle relative
alle grandi opere con la presenza di clan mafiosi.
53 politici sotto inchiesta
Da Torino
a Milano, da Bari a Palermo, da Genova a Roma, passando
per le città di provincia come Latina, Prato, Avellino,
nel corso del 2025 risuona un allarme mazzette con il coinvolgimento di un
migliaio di amministratori, politici (53), funzionari, manager, imprenditori,
professionisti e mafiosi. Dall’analisi delle inchieste, ancora in corso e
dunque senza un accertamento definitivo di responsabilità individuali, emerge
una corruzione “solidamente” regolata, spesso ancora sistemica e organizzata, dove
a seconda dei contesti il ruolo di garante del rispetto delle “regole del
gioco” è ricoperto da attori diversi. Tra i 53 politici indagati (sindaci,
consiglieri regionali, comunali, assessori) pari al 5,5% del totale degli
indagati, 24 sono sindaci, quasi la metà. Il maggior numero di politici
indagati sono in Campania e Puglia (13), seguite da Sicilia con 8, e Lombardia
con 6. “Si tratta di un quadro sicuramente parziale, per quanto significativo,
di una realtà più ampia sfuggente”, spiega Libera.
“Non è
un’anomalia, ma un sistema”
“I dati che
presentiamo ci parlano con chiarezza: la corruzione in Italia non è
affatto un’anomalia, bensì un sistema che si manifesta in mille
forme diverse, adattandosi ai contesti, riflettendo l’impiego di tecniche
sempre più sofisticate. Da quelle più classiche (la mazzetta, l’appalto
truccato, il concorso pilotato) fino a quelle ormai pressoché legalizzate,
frutto di una vera e propria cattura dello Stato da parte di un’élite
impunita: leggi e regole scritte su misura per i potenti di turno,
conflitti di interesse tollerati, relazioni opache tra decisori pubblici e
portatori di soverchianti interessi privati”, dice Francesca Rispoli,
copresidente nazionale di Libera. “La questione – aggiunge – va molto al di là
delle singole responsabilità individuali. Sono all’opera meccanismi che, se non
svelati e contrastati, rischiano di consolidare un sistema di potere sempre più
irresponsabile. Non basta invocare pene più severe, o attendere l’ennesima
inchiesta giudiziaria, spesso destinata ad arenarsi in un nulla di fatto:
occorre rinnovare un patto forte e lungimirante tra istituzioni responsabili e
cittadinanza attiva. Da un lato, le istituzioni pubbliche consolidino i presidi
di prevenzione e si dotino di strumenti efficaci di contrasto della corruzione,
anziché delegittimarli e indebolirli come si è fatto negli ultimi anni.
Dall’altro, la cittadinanza deve potenziare la capacità di far sentire la
propria voce, investendo in una crescita della cultura della segnalazione, del
monitoraggio civico, dell’impegno condiviso nel difendere i beni comuni e
l’interesse pubblico”.