Da qualche tempo i lettori di Volere la luna possono leggere la rubrica Noterelle dal carcere, tenuta da “un insegnante in un istituto penitenziario del Paese, non importa quale” (https://volerelaluna.it/autori/tazio-brusasco). L’autore è Tazio Brusasco, che ha raccolto le sue testimonianze e riflessioni in un libro uscito da poco: Voci lontane. Un anno di scuola nel carcere delle Vallette di Torino, Baima Ronchetti editore (https://www.baimaronchetti.it/prodotto/voci-lontane).
Come la
rubrica, anche il libro contiene “affreschi di vita quotidiana
finalizzati a restituire dignità e umanità a una condizione che spesso non ce
l’ha”; il libro contiene tanti affreschi, e ne è anche la cornice, con la
storia autobiografica del trasferimento da una scuola a nord di Torino
alla scuola all’interno della Casa Circondariale Lorusso e Cutugno di Torino.
L’autore si avvicina al nuovo lavoro con prudenza, con un po’ di timore e un
po’ d’entusiasmo, fra l’approccio professionale dell’insegnante che deve
affrontare un nuovo metodo d’insegnamento e l’essere umano di fronte a
un’inedita avventura di vita. Nel libro c’è cronaca degli eventi insieme a
riflessioni più generali, che tentano di dare un senso all’esperienza, per
affrontarla meglio.
La prima
scoperta: «il fatto che la scuola in carcere è una normale scuola per
adulti, uguale a quella che si svolge fuori, dura tre anni e ha gli stessi
programmi ed esami conclusivi». All’interno dell’istituto Giulio, cioè,
alcune classi si svolgono in carcere, in dinamiche, limiti e stimoli molto
diversi rispetto alla scuola comunemente conosciuta. Per capirne le differenze
– o quantomeno, a immaginarle, a supporle – è utile sospendere momentaneamente
il resoconto sul libro e inquadrare il sistema; e a capirci qualcosa
aiuta il report annuale dell’associazione Antigone, che dal 1998 monitora
le condizioni di detenzione in Italia (https://www.rapportoantigone.it/ventesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione). L’ultima edizione, uscita nel
2024 (https://volerelaluna.it/materiali/2024/08/02/nodo-alla-gola-xx-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/), è la ventesima, e come al solito
riassume dati, considerazioni, testimonianze, dossier tematici che tracciano
una panoramica aggiornata ed esaustiva.
Innanzitutto: in
Italia sono presenti 189 istituti carcerari, di cui almeno il 20% è stato
costruito a inizio Novecento, quindi con bisogno costante di manutenzione e
ristrutturazione. Dentro queste strutture, a fine marzo 2024, erano
detenute 61.049 persone, ben oltre la capienza ufficiale di 51.178 posti.
Come la popolazione italiana, anche la popolazione carceraria sta
invecchiando: il 10% oggi ha oltre 60 anni, mentre la fascia più
rappresentata è quella compresa tra i 45 e i 59, col 32,2% dei presenti,
rispetto al 25,3% di dieci anni fa; nello stesso tempo è calata la fascia con
età inferiore ai 35 anni, dal 38,4% al 29,6% attuale. I residui di pena che
devono scontare le persone detenute sono aumentati: per residui superiori ai
tre anni, ergastolani inclusi, si è passati dal 36,2% dei presenti del 2010 al
43,8% del 2015 al 48,7% del 2023. Eppure, secondo i dati nel Dossier di
Ferragosto del Viminale, nei primi sei mesi del 2023 i delitti denunciati dalle
forze di polizia all’autorità sono stati 1.228.454, mentre nello stesso periodo
del 2022 il numero erano 1.299 350, con una diminuzione del 5,5%. Quindi: meno
delitti, pene che aumentano, benché gli ingressi storicamente diminuiscano:
92.800 nel 2008, 43.417 nel 2024.
Fra le tante
statistiche, per comprendere meglio anche Voci lontane, si possono
citare quelle relative alle persone detenute che studiano, sia per prepararsi
al lavoro, sia per colmare lacune e promuovere la crescita personale, elemento
indispensabile per il futuro reinserimento in società. A fine giugno 2023, per
l’anno scolastico 2022-23, sono stati erogati 1.760 corsi scolastici, con
19.372 persone iscritte (9.002 stranieri) di cui 47,8% ha ottenuto la
promozione. Sono attivi inoltre 274 corsi di formazione professionale con 3.359
iscritte (il 5,8% del totale dei reclusi). Nell’anno accademico 2022-23 si
contano inoltre 1.458 studenti universitari (1.406 uomini e 52 donne), di cui
1.270 detenuti in 97 istituti penitenziari e 188 in esecuzione penale esterna o
fine pena. La Conferenza Nazionale dei Poli Universitari Penitenziari (CNUPP)
include 44 università che gestiscono i corsi offerti agli studenti: l’86,9%
degli iscritti frequenta un corso di laurea triennale (41 si sono laureati nel
nell’anno solare 2022); il 12,9% frequenta un corso di laurea magistrale o a
ciclo unico (10 si sono diplomati nel 2022); 2 detenuti sono iscritti a un
corso post-laurea. I corsi ricadono nell’area politica sociale (27%) nell’area
letteraria-artistica e giuridica (15%), agro-alimentare (12%), scienze,
tecnologie, ingegneria, matematica (8%), storico-filosofica (8%),
psico-pedagogica (7%), economica (6%), medico-sanitaria (2%).
Ecco, dentro
questi numeri si è mosso Tazio Brusasco nella sua esperienza d’insegnante nel
carcere della Vallette a Torino, fin dalla prima impressione: «Da quanto inizio
a vedere, qui come fuori, oltre a erogare una formazione culturale, la scuola
concede tempo alla persona. È il fondamentale tempo della crescita, non segnato
da esigenze di performance o frenesie produttive. È libertà, tempo balsamico e
fecondo: se non hai capito, mi fermo, anzi ci fermiamo, e ripetiamo. Così si
impara ad avere diritto di sbagliare e a essere solidali con chi fatica, una
lezione civile. Anche in carcere il vero punto di forza della scuola è il
tempo. Di qualità, riflessivo, introspettivo. E gratuito». Attraverso le parole
il lettore di Voci lontane potrà scoprire il carcere,
l’edilizia, i controlli, il colore dei muri di cinta, gli otto padiglioni,
l’ICAM (Istituto a Custodia Attenuata per detenute Madri, con figli fino ai sei
anni), il bar, i circa duecento gatti della colonia che animano corridoi e
cortili.
Ogni giorno
è un’avventura, un resoconto veloce, come in vignette di fumetto, scene da
un Candido opposto dove sembra d’esser precipitati nel peggior
mondo possibile: il furto
di un televisore, il racconto dello spaccio in strada, le confessioni, i
collaboratori di giustizia, affettività e sessualità proibite, la persona
detenuta con la mamma morente fuori, l’isolamento più forte durante le feste, i
tanti suicidi, gli psicofarmaci per non sentire le angosce, per inebetirsi: per
sopravvivere e non pensare. C’è la paura di uscire dal carcere per tornare in
libertà, senza la forza, le certezze, gli appoggi per poterla affrontare.
Ma nel libro
c’è anche ironia, episodi
che sembrano di quotidianità per ciascuno di noi, nei corridoi anziché nelle
vie, nei cortili anziché nelle piazze, nelle celle anziché nelle case. Perché
il carcere è una piccola cittadina, un quartiere a sé, relegato ai margini
dalla società, spesso nelle periferie cittadine (com’è appunto a Torino): il
torneo di calcio, la preghiera dei detenuti musulmani e i sacerdoti cristiani,
la gestione dei soldi con un conto corrente interno per ogni detenuto.
“Quanto
ancora dovrò stare qui?” è la domanda con cui ci si sveglia al mattino, che
rimbomba ad alte frequenze in testa per tutto il giorno, per tutti i giorni di
reclusione. Anche l’autore, nel suo ruolo di professore, ascoltando simili
confessioni apporta riflessioni a impreziosire la sua esperienza. Si collega
all’evoluzione storica della pena, dalla testimonianza di Calpurnio Flacco nel
II secolo d.C., a Cesare Beccaria e al suo Dei delitti e delle
pene nel 1766, ai pensieri di Michel Foucault sulla nascita di nuovi
penitenziari nei tempi della rivoluzione industriale, fino alla sentenza
Torreggiani del nostro millennio europeo. Si parla di recidiva, modelli
alternativi di scontare la pena; di giustizia riparativa, per far incontrare
chi ha compiuto un reato con chi ne ha subito le conseguenze, in un percorso di
mediazione progressivo e faticoso; di vittime di reati, e sul ruolo degli
agenti carcerari, che sono reclusi come gli stessi reclusi che controllano,
condividendo i medesimi spazi e in simbiotiche segregazioni.
Le
riflessioni più ampie sono intorno alla scuola: l’utilità del voto, se espresso in
numero nudo per la singola prova, oppure in forma di commento che prenda in
esame molteplici fattori per prepararsi alla prova; si ragiona sulla necessità
per un allievo di sapersi autovalutare, che sia dentro oppure fuori. E intanto
si racconta l’organizzazione delle biblioteche nei padiglioni, coi meccanismi
di autorizzazioni che spostano libri sui carrelli, in un sistema “porta a
porta” (alle Vallette ci sono cinque biblioteche, in un catalogo di circa
25.000 libri e 1.500 audiolibri, nel circuito torinese del prestito
interbibliotecario). Alcuni detenuti poi si stanno impegnando per ottenere la
laurea, poiché alle Vallette c’è un Polo universitario, dove si studia
prevalente scienze politiche e giurisprudenza, con spazi aperti di discussione,
e aule per seguire lezioni da docenti e collaboratori dai vari dipartimenti.
L’autore
avanza nella scoperta della nuova realtà con spirito prudente, esplorativo, ma
con le orecchie tese, la vista aguzza, i sensi pronti, per assorbire quanto più
possibile da rielaborare alla ricerca di una qualche saggezza. Nella prefazione
lo riconosce anche Elena Lombardi Vallauri, la Direttrice del carcere di
Torino: «quella voglia di essere una persona intensamente presente a sé stessa,
alla vita, al mondo, alla società, di svolgere il proprio compito con serietà e
serena consapevolezza di quanto sia complicato ma non per questo, anzi, non
meritevole di tutta la sua buona volontà».
Di solito si
recensisce un libro parlando del testo e dell’autore. Per Voci lontane,
recensendo il libro, s’ha l’impressione di recensire l’intera
popolazione a cui si riferisce, di attingere alle parole, ai pensieri e ai
sentimenti delle persone detenute che l’autore ha incontrato, o forse
soltanto immaginato. Il libro stesso è la recensione di una condizione di vita,
fra mura che staccano dalla società una fetta d’umanità, relegandola in un
modellino distorto di vita. Voci lontane non si esaurisce
negli aneddoti che riporta, ma lascia intravvedere tutto ciò che intorno a tali
eventi aleggia, il diverso tipo d’ossigeno che fa respirare i reclusi. Il
titolo poi allude alle “voci”, che arrivano da lontano: che sono lontane,
per quanto echi delle nostre stesse voci. Ma sono anche le nostre voci, e in
questo libro possiamo ascoltarle.